Un po’ di storia sull’Albanello
Il primo produttore di Albanello di cui abbiamo notizia, fu la nobile famiglia Landolina, che iniziò la vendemmia e i processi di vinificazione con la famiglia Grillo, nel 1712. Si tratta dunque di un vitigno importante, il cui pregio ha destato l’interesse di vari autori sin dal ‘700, periodo in cui era diffuso solamente nelle terre tra Siracusa e Ragusa. Già all’epoca era difficile da trovare e particolarmente costoso, e prevalentemente utilizzato per la produzione di vini liquorosi.
Il Rovasenda lo descrive così: “Albanello di Siracusa, uno dei migliori vini liquorosi da me assaggiati era fatto con quest’uva”. Anche il famoso enologo, Giovanni Briosi, nel 1879 scriveva a proposito di questo vitigno: “l’Albanello non è molto noto in commercio, specialmente all’estero, e pure si potrebbe con esso ricavare il migliore vino asciutto di tutta la Sicilia.”
Ma è solo agli inizi del secolo scorso che il grande archeologo Paolo Orsi (a cui è dedicato il museo archeologico di Siracusa), conducendo scavi presso le necropoli di Cozzo Pantano, portò alla luce alcuni reperti, tra cui un vaso potorio del 1500 A.C. che, secondo lo stesso Orsi, testimoniava la coltivazione di vitigni a bacca bianca, della varietà Albanello, in queste aree della Sicilia che facevano parte della Magna Grecia. L’Albanello rappresenta dunque uno dei vitigni storici delle zone di Siracusa, nonché un’alta qualità di vitigno.
Le qualità del vitigno Albanello
I vini, sia secchi che passiti, ottenuti dall’Albanello, sono stati elogiati persino dai famosi Viala e Vermorel (1909). Nel 1960, il più grande critico di vini Italiani, Luigi Veronelli, ha scritto che i vini realizzati mediante Albanello hanno un’eccellente gradazione alcolica (fino al 19%), ma sono molto costosi.
Altro produttore di lunga data fu la Cantina Aretusa, e fino al 1950 l’Albanello era ancora regolarmente imbottigliato dalla Cantina Sperimentale di Noto, tanto che Corrado Montoneri, il direttore della suddetta cantina, in occasione dell’inaugurazione della Cantina Sociale Cooperativa di Vittoria nel 1905, scriveva: “… e bianchi principalmente, come l’ Albanello della R. Cantina di Noto, ch’ è già̀ conosciuto ed apprezzato, che si può̀ ricavare agevolmente dall’ uva omonima, esclusività della plaga, e che sarà̀ ben accetto in più̀ posti… Albanello ch’ è l’orgoglio del mio Istituto”.
A seguito della catastrofica diffusione della fillossera la quasi totalità dei vigneti Europei furono distrutti, e i viticoltori furono travolti dal panico più totale. Fu così che… a cavallo tra la fine del XIX e l’alba del secolo scorso, nonostante lo smarrimento iniziale, si pensò di cominciare a reimpiantarlo nella zona sud-orientale della Sicilia. Ma dal 1970 si è avviato un processo di coltivazione e vinificazione anche in provincia di Caltanissetta e di Catania, dove la sua presenza, dovuta a processi di clonazione di vitigni autoctoni, ha dato vita a un vino dalla particolare sfumatura aromatica, caratterizzato da profumi intensi che sfumano in un finale ammandorlato davvero invitante. Merito di un territorio vulcanico che fa la differenza e che riesce a conferire al vitigni fascino e ricchezza ineguagliabili. L’Albanello risulta essere particolarmente apprezzato, sia nella sua versione acida, raccolto prima della completa maturazione, che nella sua versione più dolce, appassito sulla pianta, o per almeno otto giorni sui graticci.