
Pro e contro di un vigneto ad altitudine estrema. Alcuni amici più esperti che hanno visitato il nostro vigneto ci hanno fatto notare che le nostre viti sono tra quelle che vivono alle altitudini più estreme in Europa. Sapevamo che possedere un vigneto ad oltre 1100mt di altitudine non è normale, ma animati da un spirito di sana curiosità siamo andati a fare una semplice ricerca su internet.
Effettivamente il nostro vigneto è tra i più estremi in Europa per quanto concerne l’altitudine. Ma prima di cercare le altre vigne che giocano nella Champions’ League dell’altitudine, che sarà oggetto di un altro post sul blog, è interessante cercare di comprendere perché un viticultore non deve essere ritenuto del tutto folle se coltiva le sue piante in alta quota. Come primo fattore gioca la salubrità dell’ambiente e la pulizia dell’aria. Più si va in alto più distanti si è dai centri abitati, dallo smog e dal pulviscolo che avendo un peso, riesce ad essere trasportato dal vento anche a grandi distanze, ma solo orizzontalmente. Quindi più si va in alto più l’aria e il micro ecosistema del vigneto sono salubri.
Le piante vivono di luce per attivare i processi di fotosintesi clorofilliana, quindi più si va in alto, più cristallina è la luce. Infatti a certe quote oltre all’assenza dell’effetto filtro creato dal vapore acqueo e dalle polveri risultato dell’inquinamento, la luce per raggiungere la pianta deve percorrere uno strato di atmosfera minore, e quindi è più diretta.
Inoltre, tralasciando i limiti che ogni generalizzazione porta con sé, solitamente in quota la ventilazione dovrebbe essere maggiore, ed un vigneto più ventilato è solitamente un vigneto più salubre, principalmente perché viene indirettamente protetto dai ristagni di umidità che sono causa di molte delle malattie della vite. Questo è tanto più vero in un contesto come quello che ritroviamo sull’Etna, che è un vulcano che si erge solitario; e neanche i vicini, benché notevolmente più bassi monti Nebrodi, riescono a schermare l’Etna dalle correnti marine e dai venti dell’entroterra.
In genere anche l’escursione termica è molto più elevata ad alte quote. Nel nostro vigneto, da dove raccogliamo i grappoli del Millesulmare, nelle giornate di caldo di luglio o agosto la temperatura può facilmente superare i 30 gradi durante il giorno per “crollare” di notte a temperature vicine o inferiori ai 10 gradi. Esistono vari studi scientifici che comprovano che, a parità di condizioni agronomiche, uve assoggettate nel periodo della maturazione a notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte si arricchiscono di aromi.
Inoltre nel nostro caso specifico, producendo sul vulcano attivo più alto d’Europa, l’attività vulcanica arricchisce le zone di alta quota di ceneri ricche di minerali che nutrono la vegetazione. Ovviamente esistono tanti lati negativi nell’impiantare e curare un vigneto in alta quota, considerazioni che abbiamo ponderato a lungo prima di piantare il nostro vigneto nella Contrada Nave sull’Etna, ma poi la “follia” ha prevalso…
Ovviamente per curare un vigneto sono necessarie persone esperte che conoscono le condizioni microclimatiche particolari della zona e la reazione delle viti a tali condizioni; questo è vero per ogni coltivazione ad ogni quota, ma spingersi lì dove le condizioni sono più estreme, amplifica notevolmente il problema e ne rende più complessa la gestione dei fattori mitiganti. Quindi le competenze specifiche della conoscenza del terroir diventano ancora più cruciali.
L’uva risulta assoggettata a maggiori rischi climatici come grandine, forti piogge o fenomeni di siccità (nel vigneto di Santa Maria La Nave, la costante ventilazione in periodi di siccità può ridurre al minimo l’umidità dell’aria e giocare contro il grappolo, per questo all’inizio delle prime vegetazioni fogliari facciamo alcune lavorazioni sul terreno per obbligare l’apparato radicale a cercare maggiore profondità per proteggersi da eventuali mesi secchi in maturazione). Abbiamo anche mitigato questi problemi grazie ad un’accurata selezione clonale durata circa 15 anni, nel corso dei quali sono state osservate le reazioni delle antiche piante a piede franco e alcune prephyllossera, ai vari fenomeni microclimatici. Il costo di lavorazione è notevolmente più elevato, persone ed attrezzature devono raggiungere il vigneto ad hoc, non sono lì “di passaggio”.
Infine coltivare a quote estreme sull’Etna può comportare altri rischi non comuni in altre zone del mondo. Infatti essendo un vulcano attivo, l’attività craterica può causare piogge di pietre che possono danneggiare le uve, e non si può mai escludere il rischio di eruzioni che minaccino direttamente il vigneto (la storia insegna che nei suoi 600.000 anni di storia l’Etna per quanto sia un vulcano “buono” ha fatto innumerevoli danni a coltivazioni e centri abitati posti alle sue pendici).
Quindi impiantare e coltivare un vigneto a quote estreme impone attenzioni superiori ed espone a notevoli rischi e costi, ma con il massimo dell’attenzione e competenza e con l’aiuto del clima, i risultati possono di certo essere straordinari.