
E’ l’ultimo sabato di ottobre e si sta svolgendo probabilmente l’ultima vendemmia sull’Etna – e forse in Sicilia. Tutto il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio e il Caricante sono stati raccolti nelle vigne che vediamo per strada – solo la follia di una vigna oltre quota 1100mt sul livello del mare può spingere a vendemmiare così tardi.
E’ stata un’ottima annata sull’Etna, soprattutto per il bianco, mentre nella maggior parte del resto d’Italia è stato un anno molto difficile per le vendemmie di Grecanico Dorato e Albanello. E’ una giornata fredda dopo l’afa africana della settimana scorsa. Mi reco all’alba con Sonia alla contrada Nave, dove si trova la nostra splendida uva: dolce, dorata con tonalità rosate, intatta.
Nelle scorse settimane avevamo deciso di fare qualche ripresa video per documentare la laboriosità della nostra vendemmia manuale. Per noi è una cosa scontata – non immagineremmo mai una macchina che raccoglie le nostre uve, ma parlando con vari winelovers in giro per il mondo si comprende rapidamente che la vendemmia manuale è da considerarsi un vero lusso.
Ci siamo quindi procurati un piccolo drone per riprendere dall’alto le attività della vendemmia -infatti solo dall’alto è possibile dare una visione d’insieme completa e rendere con più efficacia l’idea di quello che si fa. La domanda spontanea ma lecita di Sonia è stata: “Ma tu, hai mai pilotato un drone?” – la mia risposta altrettanto genuina: “No, ma ho fatto tante cose più complesse nella mia vita”. In verità mi rasserenava il fatto che essendo in aperta campagna non avremmo fatto correre rischi a nessuno. Al primo decollo il velivolo è partito ad una velocità incredibile verso il cielo – sono quindi riuscito a stabilizzarlo ad un’altezza di 30-40 metri dal suolo, ma poi si è diretto istericamente verso nord fino a scomparire del tutto alla nostra vista. In panico ho lasciato il telecomando a Sonia, che con invidiabile sangue freddo è riuscita a riportarlo indietro. Al secondo decollo siamo riusciti a controllare il drone pilotandolo con maggiore prudenza, ma ad un certo punto il piccolo velivolo è ripartito impazzito fino ad allontanarsi e cadere a diverse centinaia di metri di distanza.
Le ultime riprese dallo schermo a distanza mostravano una casa rurale dell’Etna e un castagno. Così ci siamo messi a cercarlo nella direzione verso cui era scomparso.
Dopo circa un’ora di inutili vagabondaggi mi accorgo che che un vecchio contadino del posto stava zappando non lontano da dove si svolgevano le nostre ricerche. Mi avvicino al suo terreno riflettendo in che modo domandare a quel signore se aveva visto “un drone precipitare”. Gli chiedo in stretto dialetto siciliano se aveva visto un piccolo elicottero cadere nei paraggi; lui nega con il tipico “nzzz!” ossia un secco suono emesso inspirando con la lingua sul palato, quasi uno schiocco che in siciliano vuol dire “No, assolutamente!”. Io lo incalzo :”Ma lei è sicuro? Con la telecamera ho visto il tetto di casa sua e quell’albero”. E lui “Ma quanto era grande?”, io “Circa così'” facendo il segno con le mani. E lui, vagamente: “Ah, sì l’ho visto passare prima ma era lontano da qui”. Ed io notando delle incoerenze: “Senta mi faccia entrare, magari è caduto qui”. Il vecchio contadino, notando la mia decisione viene ad aprirmi il suo cancello, mi fa entrare e mi dice, sempre in siciliano: “Avanti, mi sembra brutto fare un torto a lei che sembra un bravo caruso” – mi fa cenno di seguirmi fino a casa sua, una vecchia abitazione fatta di pietra lavica e con il tetto di tegole in terracotta; entro anch’io e mi guardo in giro: ben occultato sotto alcuni sacchi di canapa c’era il drone! Il vecchio contadino aveva rimosso la batteria e lo aveva nascosto bene. Io lo prendo, lo ringrazio, dentro di me un po’ irritato per il tentativo di fregarmi, ma felice perché avevo ritrovato ciò che mi apparteneva e perché alla fine l’anziano era ritornato sui suoi passi pentendosi in tempo del tentativo di furto.