
E’ l’Etna con i suoi 3.343 metri sul livello del mare il vulcano più alto d’Europa, e per noi è anche il più bello. Si scaglia incontrastato contro un cielo immenso, testimone della sua nascita, e delle sue poliedriche trasformazioni nel corso del tempo. Dominatore di parte della Sicilia orientale, la sua fierezza e il suo carattere irrequieto sono stati accuratamente documentati nei millenni, conferendo al Mungibeddu, appellativo affettuosamente attribuito dalle popolazioni site alle sue pendici, connotati di riverenza, gratitudine e rispetto assolutamente unici al mondo: tipici di una montagna sacra.
La storia del vulcano Etna è costituita da vari elementi caratterizzanti, un perfetto mix di nozioni prettamente scientifiche, legate alla geologia e vulcanologia, ma in questo caso, per l’Etna, si va molto oltre, perché la sua è soprattutto una storia intrisa di magia, di leggende, poesie, storie d’amore e di sfida estrema, storie di passioni indicibili, ma anche di umiltà, storie di vino, di allegria, e di spensieratezza, che riecheggiano nel vento, nel rosso della lava e in quello del mio bicchiere colo di nerello mascalese, e nei racconti di vecchietti con pochi denti e con la pelle scolpita dal sole e dalla salsedine, il cui dialetto è difficile da comprendere persino per me.
L’Etna tutto prende, tutto dà…
Considerato ancora oggi un territorio sacro, tutto attorno al magnifico vulcano, si respira un’aria diversa, un’aria buona, pura, incontaminata, dove il segno della mano dell’uomo è stato puntualmente cancellato dalle innumerevoli colate laviche di questa superba Etna, che desidera mantenere il proprio status di solitudine e di bellezza divina, che la rendono terribilmente affascinante.
“E’ uno dei vulcani più emblematici e attivi del pianeta!” Così lo ha definito l’Unesco, decretandolo a gran voce, Patrimonio dell’Umanità nel 2013.
«Si è scritto del vulcano siciliano da circa 2.700 anni e questo è un bel record di documentazione nel campo dei materiali storici sull’Etna», annota l’Unesco nella sua motivazione. «I crateri, le ceneri, le colate laviche, le grotte e la depressione della valle del Bove, fanno della montagna un luogo privilegiato per la ricerca e l’educazione» si legge nella nota ufficiale «esso continua ad influenzare la vulcanologia, le geofisica ed altre discipline della Terra».
E per noi che con l’Etna siamo cresciuti tra palle di neve e passeggiate infinite, per noi che abbiamo pianto, riso, sognato insieme a questo vulcano, compagno fedele dei nostri momenti più veri, è un onore e una grande felicità sapere che il nostro Mungibeddu, la nostra stella polare, è stato riconosciuto come un bene da proteggere e rispettare per tutta l’Umanità.
Per tentare di comprendere meglio il legame mistico che lega all’Etna ai suoi più intimi devoti, è necessario intraprendere un vero e proprio viaggio nel tempo, alla volta della scoperta di questo vulcano, tracciandone le incredibili trasformazioni che lo caratterizzano.
Circa 130 milioni di anni fa, esisteva l’oceano Tetide, sito tra l’Africa e L’Europa ma, a causa della nota tettonica a zolle che muove costantemente, seppur con moto lento e per lo più impercettibile, le placche oceaniche, mandando alla deriva i continenti, la zolla Africana, a seguito di una forte dilatazione da parte dell’oceano Atlantico meridionale, si avvicinò sempre più inesorabilmente alla zolla Euro-Asiatica, inglobando per sempre sotto di essa il Tetide.
Il continente Africano aveva una serie di isolotti che si frapponevano tra esso e l’antica Europa, questi isolotti avrebbero successivamente costituito gran parte della nostra Italia.
Generalmente tutti i vulcani si formano quando la crosta o litosfera terrestre subisce fenomeni di compressione o di distensione. Nel primo caso, una zolla è spinta fino a incunearsi sotto un’altra e sprofonda nel mantello. Nel caso di distensione, una zolla si rompe lungo una frattura e si formano due pezzi di litosfera che si allontanano uno dall’altro. Questi fenomeni provocano delle variazioni di temperatura, di pressione, che nelle viscere di ogni vulcano formano il magma e favoriscono la sua risalita in superficie.
I millenari parossismi dell’Etna hanno caratteristiche simili a quelli che si verificano nelle aree in distensione, anche se la Sicilia si trova in una zona di compressione con il continente Africano. Si tratta di un caso estremo a causa del quale, nel tempo, si sono generate varie fratture per la spinta di compressione, che tendono ad allargarsi, creando, in questo modo, zone sempre più in distensione a loro volta inserite in area più grande di compressione. Ecco spiegato perché il costone orientale della Sicilia è assoggettato alla spinta del continente Africano, fratturandosi sempre di più e incrementando la fuoriuscita del magma che ha generato il vulcano Etna. Le isole vulcaniche che fanno parte dell’arcipelago delle Eolie, così come il sollevamento che forma i Monti Peloritani, sono invece conseguenza di fenomeni di compressione e subduzione.
L’attività parossistica dell’Etna, secondo approfonditi e rigidi studi scientifici e geologici, può essere racchiusa in tre diverse fasi:
Fase prima: La più antica, databile in un arco di tempo compreso tra i 700.000 e i 200.000 anni fa, è la fase pre-etnea (Quaternario) durante la quale, il complesso Etna, così come lo conosciamo noi oggi, non esisteva ancora, e l’attività vulcanica si estendeva nel golfo, cosiddetto pre-etneo, sito tra i monti Peloritani e i monti Iblei. Si tratta, in un primo momento, di eruzioni sottomarine, (i cui resti, visibili oggi in superficie, li troviamo nella splendida Aci Castello, proprio sul promontorio in cui sorge l’antico castello medievale) che tramite le quali si accentua ancora di più il sollevamento dell’area citata, e le eruzioni “emergono” in superficie espandendosi sopra i precedenti depositi di argilla. Sono esplosioni basaltiche, i cui resti sono visibili ancora oggi lungo i bordi del nostro Mongibello a sud-est e a sud-ovest. Queste eruzioni, nel corso del tempo, hanno dato vita a piccoli vulcani, di minore entità, e a colate laviche sensibilmente più fluide. Queste primordiali eruzioni sulla terra ferma, erano visibili per circa 15km a sud-ovest del vulcano, dando vita a uno spettacolo certamente disarmante. In questa sua fase creazione, quello che poi sarebbe diventato l’Etna, venne aiutata da eruzioni di vulcani isolati, i cui piccoli rilievi sono ancora oggi visibili a Motta S. Anastasia e Paternò. Si tratta di antiche città site alle pendici dell’Etna molto vicine alla più nota Catania.
Fase seconda: permette già di tracciare contorni più chiari in merito alla sua struttura, che si forma circa tra i 150.000 e gli 80.000 anni fa. Siamo in presenza dell’Etna antico o primordiale, caratterizzato da eruzioni esplosive e depositi che ricoprivano i prodotti dell’attività procedente. I resti di queste colate antichissime si possono vedere ancora oggi alla base della Timpa di Acireale (meraviglioso pendio che domina i piccoli villaggi in riva al mare), e nella Timpa di S. Tecla, in cui i depositi piroclastici hanno uno spessore di 140 metri. Troviamo ancora oggi, spessori di grande rilievo, circa 40 metri, alla periferia nord di Catania, erosi da antichi torrenti o da colate di fango. Dagli studi è emerso che, in questa seconda fase dell’Etna primordiale, le sue eruzioni sono di tipo effusivo, mentre quelle successive si caratterizzano per le loro teatrali esplosioni. Dobbiamo immaginare di trovarci davanti a due strutture: una formata da colate laviche ampie e dai fianchi poco ripidi, e l’altra, di forma conica, con fianchi ripidi e soggetti a frane. E’ proprio il fenomeno di franamento dei vari strati di questa struttura alla base delle eruzioni esplosive che successivamente caratterizzeranno l’Etna, che partono dal fianco Est dell’Etna antico, e scivolano verso il mare. Ancora oggi, riusciamo a vedere i resti di questo movimento nel profilo irregolare del vulcano.
Fase terza: risale a circa 25.000 anni fa, e si caratterizza per la formazione di numerosi centri eruttivi, uno sopra l’altro, che inesorabilmente, fanno sì che la forma dell’Etna si allarghi e s’innalzi sempre di più. I geologici sono riusciti ad effettuare questa ricostruzione grazie allo studio delle innumerevoli colate laviche e crolli che hanno costituito la splendida Valle del Bove, che a sua volta ha letteralmente sezionato un fianco dell’Etna.
I centri eruttivi sono suddivisi in:
- Antichi: il monte Calanna, alto 1325m., il monte Trifoglietto I e Trifolgietto II i cui resti si trovano oggi nella parte più inferiore della Valle del Bove.
- Intermedi: parte dei prodotti effusivi del Trifoglietto II, siti sulla parete meridionale della Valle del Bove, con uno spessore che supera i 300, e i monti Vavalaci e Cuvigghiuni, e la bocca eruttiva principale dell’Etna era con ogni probabilità collocata verso il centro della Valle del Bove.
- Mongibello: grande cono che copra l’attuale zona centrale del vulcano, e ne costituisce più di 1\3 del suo volume. Centro eruttivo più recente, è caratterizzato dalla presenza di varie bocche sulla sua sommità. A sua volta quest’ultimo centro eruttivo, può essere suddiviso in 3 fasi:
- Mongibello antico, i cui prodotti costituiscono quasi il 90% del cono il cui centro eruttivo era di tipo ellittico, e la cui attività termina circa 14.000 anni fa con lo sprofondamento della parte superiore del vulcano, che genererà la cosiddetta “Caldera dell’Ellittico”.
- Mongibello recente, riprendere la Caldera dell’Ellittico e si caratterizza per eruzioni di tipo effusivo alternate ad altre di carattere esplosivo, databili tra circa 9000 e 2000 anni fa.
- Mongibello moderno, che anche noi conosciamo, è caratterizzato da un’attività persistente del cono sommitale, con emissione di cenere e lapilli che ricoprono le città sottostanti per chilometri e chilometri, colate di tipo basaltico e un’attività moderatamente esplosiva.
Per quanto riguarda l’aspetto eruttivo, l’Etna ha dato vita a imponenti, catastrofici e a volte meravigliosi spettacoli tutti ben documentati negli ultimi 2.500 anni, che spesso hanno distrutto intere città, come Catania nel 1669, o prosciugato laghi, come il Nicito (poi sommerso da una successiva colata lavica) o ancora esteso il versante orientale dell’isola sottraendo chilometri al mare. Altre eruzioni ancora hanno modificato il corso di fiumi, come l’Amenano, altre hanno dato vita a complessi di grotte meravigliose come: la Grotta del Gelo e la Grotta dei Lamponi.
Affascinante è dunque la storia dell’Etna la cui etimologia cela aloni di mistero. Secondo alcuni studiosi il nome Etna è da ricondurre al greco Aitna, o Aitho che vuol dire bruciare, e ancora prima alla parola fenicia Attano, mentre i romani la conoscevano già come Aetna. Secondo altri studiosi invece, l’Etna veniva chiamata dagli Arabi Gabal al-Nar, successivamente, durante l’epoca medioevale, mutato in Mons Gibel (entrambe le parole significano monte, la prima in latino, la seconda in arabo) due volte monte, per marcare ulteriormente la sua supremazia, la magnificenza di questo vulcano, la sua grandezza (a testimonianza della molteplicità di culture che vivono fuse come la lava del vulcano), e infine in Mongibello (Montebello) per esaltarne ancor di più l’atavica beltà.
Innumerevoli miti e leggende sono da sempre legati all’Etna, a partire persino dal suo nome!
Anticamente, secondo la mitologia greca, si pensava che Etna fosse una dea bellissima, figlia della dea Gaia (terra e madre della stirpe divina, prima entità materiale della creazione) che generò un essere simile a lei, il dio Urano (il cielo) per proteggerla e coprirla. Secondo la mitologia classica, il dio dei venti, Eolo, racchiuse tutti i venti del mondo sotto le caverne dell’Etna, e che questi fossero la causa di terremoti e smottamenti.. Il poeta Eschilo narrava che il terribile gigante Tifone, figlio della dea Gaia e del dio dell’oltretomba (Tartaro), cerco di spodestare Zeus, ma quest’ultimo riuscì a sconfiggerlo scagliandogli addosso l’Etna. E’ per questo motivo che l’Etna erutta costantemente, a causa di tutti i fulmini scagliati da Zeus.
I miti greci raccontano che Ephesto, o vulcano, dio del fuoco e della metallurgia, nonché supremo fabbro degli dei, aveva proprio la sua fucina sotto l’Etna, dopo aver domato il demone del fuoco Adranos, e di averlo portato via dalla montagna. I Ciclopi erano i fedeli servi di Ephesto, e lo aiutavano a produrre i potentissimi fulmini di Zeus.
Le leggende le luogo narrano che proprio sotto l’Etna ci fosse l’accesso del mondo dei morti. Persino l’amata Sant’Agata, protettrice di Catania dopo la sua morte dovette intercedere per calmare il vulcano. Infatti il popolo, che aveva custodito gelosamente il velo dopo il suo martirio, durante la violentissima eruzione del 252 A.C., il popolo prese il velo e pose all’ingresso della città per proteggerla. L’eruzione ebbe termine, ma il velo si tinse di rosso, e per questo motivo, ancora oggi, i devoti invocano il nome della Santa per protezione contro fuoco e fulmini.
Il mito del vulcano Etna si estende ben oltre i confini della Sicilia!
Persino il famigerato Re Artù, secondo la leggenda, abiterebbe ancora in un castello sull’Etna, il cui ingresso sarebbe stato accuratamente tenuto nascosto dal mago Merlino in una delle misteriose grotte che costellano il vulcano.
Secondo una leggenda inglese, invece, l’anima della regina Elisabetta d’Inghilterra ora risiede nell’Etna, a causa di un patto che lei fece col diavolo in cambio del suo aiuto per governare il regno.
Miti e leggende, che da sempre affascinano l’uomo, lasciano lo spazio a un vulcano potente e a volte pericoloso che, nonostante la sua costante attività lavica, oggi, viene visto come un vero e proprio fenomeno geologico, agricolo e culturale tutto da scoprire o da riscoprire.
E negli ultimi 30 anni, grazie all’impegno di imprenditori e vignaioli è stata avviata la riscoperta di dell’antico terroire vinicolo del nostro vulcano. Così tra scenari mozzafiato dalla bellezza dimenticata e dalla geologia affascinante, si rivalutano le aree vitivinicole, le contrade, in cui i vigneti dai più antichi e prephylloxera, ai più vocati assalgono il vulcano da ogni parte: dalla zona marina di Mascali, da dove è originario il grappolo rosso principe dell’Etna, il Nerello Mascalese, al triangolo d’oro tra Randazzo, Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, a Milo, zona di pregiato Carricante, alle estremità eroiche di Contrada Nave, dove nei secoli i contadini hanno selezionato le viti più resistenti di Grecanico Dorato e di Albanello, che sfrontate riescono a resistere alle violente escursioni termiche e agli shock idrici dei 1100 metri sopra il livello del mare della contrada. L’Etna ritorna quindi a regalare vini pregiati, caratterizzati da colori intensi, profumi che inebriano e un gusto minerale che racconta la storia della terra che nutre le radici della proprie viti.
Tutte le volte che degusto un Suo vino, che mi sporco le scarpe nella terra nera delle Sue vigne, che il vento di montagna e marino allo stesso tempo sfiora il mio viso durante la tardiva vendemmia, e tutte le volte che mi perdo rapita dal suo carattere violento che esplode contro il cielo, mentre altre sembra osservalo in silenzio, con i suoi pensieri che si perdono nelle notti stellate, tutte le volte che osservo l’immane forza e la disarmante delicata bellezza con cui la profumata ginestra riesce a farsi spazio tra i resti ormai rocciosi di una primordiale lava incandescente, tutte le volte che la guardo, l’Etna mi commuove.
E l’Etna è lì, è viva, è sacra.
Autore: Sonia Spadaro Mulone – Sommelier and Etna Lover
Fotografie: Dario Di Bella – Etna Lover