Nerello Mascalese

Nerello Mascalese, il principe dei vitigni autoctoni a bacca rossa dell’Etna

Il Nerello Mascalese è il principe indiscusso dei vitigni presenti sul mistico Mungibeddu, il vulcano Etna, sito sulla costa orientale della Sicilia, eterna terra di fuoco e passioni, e ne eredita le straordinarie sfumature, racchiudendole in un vino dal sapore intenso e dalle note opulenti, che ne decretano l’incontrastata unicità. Unicità in parte dovuta al profondo terreno ricco di cenere, sali minerali e sabbia del vulcano attivo più alto d’Europa che, con i suoi 3330m sul livello del mare e la sua maestosa forma conica, domina incontrastato la splendida Catania e la romantica Taormina.

Unicità dovuta in parte anche al clima, caratterizzato da una forte escursione termica tra il giorno e la notte, nonché alla mano dell’uomo: densità d’impianto (6,000-9,000 ceppi per ettaro, con sesto d’impianto 1×1 o 1,25×1,25), tecniche di coltivazione e sistema di allevamento, che mantengono l’antichissima caratteristica di alberello, con tutore in castagno, 2-3 branche per pianta con uno sperone portante 2 gemme e con una produzione media di circa 60-70 quintali per ettaro.

La lunga storia del Nerello Mascalese

Questo sistema impone faticose lavorazioni manuali, poiché non è meccanizzabile e quindi genera costi molto elevati. Per questa ragione è stato negli anni quasi del tutto abbandonando in virtù di sistemi più “evoluti”, ma sussiste ancora nelle zone etnee, native del Nerello Mascalese. In altre zone della Sicilia viene adottata la coltivazione a controspalliera, soprattutto nel palermitano e nell’agrigentino, dove nell’ultimo trentennio il Nerello Mascalese si è particolarmente diffuso, tanto da diventare il vitigno a bacca nera più coltivato in Sicilia dopo il Nero d’Avola. Grazie all’elevata vigoria, con coltivazioni intensive il Nerello Mascalese può arrivare alla produzione anche di 350 – 400 quintali per ettaro, ma questo non è il caso dei vignaioli che ricercano qualità: non è il caso dell’Etna.

L’equazione perfetta per ottenere un grande vino da un vitigno come il Nerello Mascalese è data dunque dal delicato equilibrio tra la natura e l’uomo, che è parte integrante di essa e osservatore dei fenomeni qualitativi, e dall’evoluzione delle tecniche di vinificazione, finalmente libere dall’ossessione per la quantità.

L’Etna e il Nerello Mascalese

Il Niuriddu Mascalisi, com’è affettuosamente chiamato il Nerello Mascalese dai vignaioli etnei, non ha una collocazione storica ben precisa, l’inizio della sua coltivazione si perde infatti nella notte dei tempi. Da recenti studi è però emerso che questo vitigno autoctono a bacca rossa fa la sua prima apparizione durante la colonizzazione greca nel VIII secolo A.C. sulle coste della Calabria, per poi spostarsi a Naxos e successivamente a Catania nel 728 A.C., quando i Greci introdussero nella parte orientale della Sicilia la coltivazione delle Talee e l’adorazione di Dionisio, dio del vino. Al tempo erano molti i Greci che coltivavano la vite nella zona orientale della Sicilia e alle pendici dell’Etna. Si dice che la stessa poetessa Saffo, bandita dalla sua patria, l’isola di Lesbo, si trasferì in questa zona dell’isola a coltivare la vite.

Ma è solo in epoca romana che il Nerello Mascalese comincia a diffondersi alle pendici dell’Etna, diventando un’interessante alternativa al famoso Falerno. Qui metterà definitivamente radici nel territorio della piana di Mascali, ristretta zona agricola tra il mare e l’Etna, in provincia di Catania, da cui il nome Mascalese, e nel territorio di Randazzo e Castiglione di Sicilia. L’Etna accoglierà quindi il Nerello Mascalese per secoli, con i suoi terreni vulcanici al limite dell’impossibile, tra i 350 e i 1100 metri sul livello del mare, che offriranno le condizioni pedoclimatiche più adatte per la sua coltivazione.

Infatti, nonostante la caduta dell’impero romano e le varie dominazioni arabe (che contrariamente a quanto si pensi non eliminarono la cultura del vino, ma la mitigarono soltanto, introducendo la tecnica della distillazione), normanne e borboniche susseguitesi in Sicilia, il Nerello Mascalese non sarà mai abbandonato del tutto e questo ha permesso che venisse tramandato a noi in tutta la sua nobile fierezza.

Nel 1968 il Nerello Mascalese diventa la base per la denominazione DOC dell’Etna Rosso, di cui rappresenta almeno l’80%, mentre il restante 20% è dato dal vitigno Nerello Cappuccio. E’ invece previsto in misura inferiore nelle DOC di Alcamo, Contea di Sclafani, Faro, Marsala e Sambuca di Sicilia, oltre che in quelle Calabresi di Lamezia e Sant’Anna nell’Isola di Capo Rizzuto. Il Nerello Mascalese viene quindi consacrato definitivamente nel panorama vinicolo internazionale come vitigno autoctono e, in alcuni casi, estremo dell’Etna. Altro elemento caratterizzante è la sua maturazione tardiva, che solitamente avviene tra la seconda e la terza settimana di ottobre. Le uve vengono vinificate in rosso con una lunga macerazione delle bucce che permette di realizzare importanti vini rossi da invecchiamento.

Nella zona etnea tra Mascali e Randazzo non è raro trovare antichissime vigne ad alberello di Nerello Mascalese, che con forza e tenacia si aggrappano alla montagna e alle sue terrazze nere di pietra lavica, in cui è possibile constatare la mancanza di un sesto d’impianto geometrico delle viti, questo perché sull’Etna in passato era molto diffusa la pratica di allevamento della vite per propaggine. Si tratta della cosiddetta purpania, che consisteva nell’interrare il tralcio di vite così da poter ripristinare la fallanza prossimale. Questa metodica ci permette di ammirare ancora oggi, in questi vigneti eroici, una cospicua presenza di viti a piede franco. Tuttora nel nostro vigneto di SantaMariaLaNave, grazie all’ambiente estremamente salubre e all’altitudine di 1100metri sul livello del mare, ripristiniamo le poche fallanze con il metodo della propaggine.

Il Nerello Mascalese nell’età moderna

Ai giorni nostri il Nerello Mascalese dell’Etna è caratterizzato da un insieme di piante clonali molto eterogenee tra loro, particolarmente vigorose da un punto di vista produttivo e vegetativo, che presentano una caratteristica foglia grande, prevalentemente pentagonale, trilobata, con la pagina superiore glabra, opaca e di colore vede chiaro. Il grappolo si presenta abbastanza grande e allungato, di forma conico–piramidale (ricorda un po’ l’Etna capovolta!) e di aspetto compatto e alato. L’acino è medio, di tipo sub-ellissoidale, ma regolare, con la buccia molto pruinosa, spessa, consistente e di colore blu chiaro.

La produttività della pianta è abbondante ma non è sempre costante, mentre la vigoria è mediamente ottima, ma dipende dall’annata e dalla zona etnea in cui il Nerello Mascalese viene coltivato. Se consideriamo identiche condizioni di allevamento e stesse pratiche colturali, le condizioni del micro-clima etneo tra luglio e agosto e tra settembre e ottobre determinano importanti variabili sull’andamento qualitativo dell’uva, anche all’interno della stessa annata, in base al versante del vulcano Etna e all’altitudine in cui essa viene prodotta.

Inoltre, questo vitigno, vista anche la caratteristica natura sabbiosa del terreno vulcanico, si trova a dover gestire un cospicuo stress idrico dovuto alle abbondanti piogge, soprattutto nel periodo pre-estivo e nel periodo antecedente la vendemmia, oppure uno stress da siccità, dovuto alla forte calura del periodo estivo, che si ripercuote sulla dimensione e sul peso dell’acino. Questo può compromettere la perfetta maturazione dell’uva, (considerando che il Nerello Mascalese è un vitigno autoctono tardivo), con spiacevoli ripercussioni sul vino finale.

I processi colturali che lo riguardano sono sicuramente: la potatura nel mese di gennaio, la legatura delle foglie intorno a un palo o sul filare nel germogliamento della vite, la sfogliatura, cioè l’asportazione delle foglie basali del germoglio e l’allegagione nel mese di giugno, per liberare il grappolo così da agevolare l’aerazione e l’esposizione alla luce dei grappoli migliori.

Il Nerello Mascalese in purezza

Le caratteristiche organolettiche del Nerello Mascalase in purezza sono in genere: il colore rosso rubino con leggeri toni granati, il profumo di intense note di frutta a bacca rossa, lievissime sfumature floreali, tocco speziato, tenue effusione di vaniglia e tabacco con persistenza di liquirizia e il gusto secco, caldo, tannico, persistente e armonico, il tutto sostenuto dal corpo. All’esame visivo il vino sembra sicuramente più maturo di quello che risulta poi essere all’esame gusto-olfattivo Lavorato come vuole la tradizione si ottiene un vino con la caratteristiche sopra descritte.

Quando invece il Nerello Mascalese viene vinificato in assenza di vinacce, dà origine alla famosa “Pesta in Botte” tipica della zona etnea. La gradazione alcolica è compresa tra i 13-14% vol. mentre la temperatura di servizio tra i 18-20 C°. Viene servito in calici adatti a vini rossi di corpo. Si sposa benissimo con le carni rosse, la selvaggina e i formaggi stagionati.

Il Nerello Mascalese è uno degli esempi più importanti di coltivazione autoctona esistenti in Sicilia da tempo immemorabile, assoggettato però ad un’elevata variabilità che lo può compromettere. Sarebbe auspicabile pensare ad un programma complessivo di valorizzazione e selezione clonale, che alcuni tra i più responsabili viticultori stanno conducendo in proprio.

Questo permette di comprendere la diversità nel complesso clonale eterogeneo del vitigno ed avere delle varietà più resistenti e non soggette a patologie difficili da debellare come: virosi del complesso dell’arricciamento, giallume infettivo, virosi della screziatura. Il risultato sarebbe un vino ancora più sano e intenso, con un bouquet complesso e capace di affinarsi nel tempo. Il successo del Nerello Mascalese e del vino che ne deriva con la sua storia che si perde nel tempo testimoniano che la qualità, pura e onesta come le mani del vignaiolo che lo coltiva con amore, vince sempre, perché propone sapori autentici e piacevolmente insoliti: con il Nerello Mascalese si sfiora la perfezione.